TRATTI CHE LASCIANO IL SEGNO di Andrea Biban
Ora sei un illustratore affermato, da bambino eri bravo a disegnare?
È più giusto dire che affermo di essere un illustratore. Comunque sì, ero bravissimo a disegnare, tanto quanto lo sono tutti i bambini. Più piccoli sono più bravi sono, perché quello che li guida è la spontaneità, che nella maggioranza dei casi crescendo si perde. È solo durante le scuole medie che mi sono accorto che il disegno era un mio dono ed è stata una fortuna perché di lì a poco avrei dovuto scegliere la scuola superiore da frequentare.
Ci parli del tuo percorso formativo?
Ricordo che in terza media mi capitò tra le mani un dépliant informativo dell’Istituto Statale d’Arte G. Sello. Avendo letto che in quella scuola si disegnava non ebbi dubbi nel fare la mia scelta, con il pieno appoggio dei miei genitori. In quegli anni sono nate due passioni: la prima fu per la grafica pubblicitaria, che richiede creatività e idee per comunicare, la seconda nacque da un episodio che ha cambiato la mia vita e i cui effetti si vedono tuttora. La professoressa di progettazione grafica, Alessandra D’Este, organizzò una gita a Treviso alla Mostra degli Illustratori di Sarmede. Credo che la maggior parte di noi alunni non avesse idea di quello che avrebbe visto, me per primo. Giunti alla Casa dei Carraresi rimasi letteralmente affascinato dalle illustrazioni esposte, su tutte, quelle di Štepán Zavrel e di Josef Wilcon. Per me quel giorno si è aperto un mondo nuovo. Scoprii che esisteva “l’illustrazione di libri per bambini” e che c’era chi lo faceva di professione. Riscoprendo le fiabe tornò fuori prepotente il bambino che c’era in me, e così ho ricominciato a disegnare rendendomi conto, però, che stavo copiando i miei “maestri”. Un illustratore deve avere il suo segno, la sua originalità, per me i tempi non erano maturi. Terminate le scuole superiori e il servizio militare mi sono trasferito a Milano per frequentare il biennio di grafica e comunicazione presso l’Ateneo Creativo, esperienza che mi ha permesso di ampliare gli orizzonti di cultura artistica generale e di conoscenze tecniche. Tornato a Udine ho iniziato a esercitare la professione di grafico.
Quale è stata la svolta?
Era il 1998 quando, leggendo il giornale, scoprii il concorso per illustratori “Sulle ali delle farfalle” di Bordano. Nel regolamento veniva richiesta una storia inedita, completa di testo e illustrazioni. Fu così che decisi di partecipare e nella totale libertà che contraddistingue chi non ha niente da perdere scrissi il testo, lo illustrai e lo impaginai. Con mia grande sorpresa vinsi il primo premio per la sezione in lingua friulana. Fu emozionante, indimenticabile. Avevo finalmente trovato il mio segno e la tecnica giusta per esprimerlo: l’olio su tela. “Sium di Primevere”, il mio primo libro nato a Bordano, pian piano è arrivato fino in Corea. Nel frattempo sono nati altri libri e, ne sono certo, altri nasceranno. Per la mia generazione il concorso di Bordano è stato una piccola ma importante vetrina e ha rappresentato la fortuna di molti, in anni in cui il mondo non era connesso come ora e avere visibilità non era così facile. Auguro di cuore, a tutti i ragazzi e ragazze che sognano di diventare illustratori professionisti, la fortuna che ho avuto io nel trovare il mio personale modo di illustrare. Non c’è gioia più grande per chi fa questo mestiere. Certo, cercare costa impegno e fatica, ma vale la gioia.
La Val Còlvera, la tua casa.
Essermi trasferito in Val Còlvera, oramai sedici anni fa, è il risultato di una serie di fortunati eventi capitati in un momento di crisi personale. Sentivo che c’era un mondo dentro di me che spingeva per uscire, ma non sapevo che forma potesse avere. E allora è come se coraggiosamente mi fossi lasciato trasportare da un flusso che col tempo ho imparato a riconoscere e assecondare. Quel flusso mi portò da Lauren, la mia compagna, e in Borgo Polaz, dove insieme viviamo e lavoriamo. Qui è il posto dove ho scelto di vivere e dove c’è tutto quello che mi serve: pace, boschi, montagne e molto altro ancora. Solo qui quel mondo che non conoscevo ha potuto rivelarsi, materializzandosi in nuovi disegni, nuovi libri, sculture di ferro, lavori di legno, oggetti in ceramica... Ho sempre invidiato chi ha mani grosse, callose, rovinate. Contadini, muratori, fabbri, operai… hanno mani che raccontano delle fatiche del fare e del piacere del saper fare. Le mie mani non sono ancora come le loro, ma da quando vivo qui mi chiedono insistenti di lavorare, di sporcarsi, di graffiarsi. Solo così sono felici. Ho 49 anni, ma mi sento ancora il bambino ritratto in quella vecchia foto sotto il campanile di Trivignano. Insomma, sono un bambino cresciuto, sono ancora in quel flusso e per questo felice.